Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Greenpeace, dal titolo “Chipping Point”, la produzione di semiconduttori destinati all’intelligenza artificiale ha generato nel 2024 un incremento di emissioni di gas serra pari al +357% rispetto all’anno precedente. L’analisi, condotta su scala globale, mette in luce come la corsa allo sviluppo di tecnologie AI stia aggravando significativamente la crisi climatica, a causa di una filiera produttiva ad alta intensità energetica e ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili.
Aziende come NVIDIA, Microsoft, AMD e altri leader dell’intelligenza artificiale si affidano a produttori di chip come TSMC (Taiwan), SK hynix (Corea del Sud), Samsung Electronics e Micron Technology per le unità di elaborazione grafica e la memoria necessarie all’elaborazione AI. Questi impianti si concentrano prevalentemente in Asia orientale — in particolare a Taiwan, Corea del Sud e Giappone — regioni dove le reti elettriche si basano ancora in gran parte su carbone e gas.
Nel dettaglio, il rapporto evidenzia che il consumo globale di elettricità per la produzione di chip AI è passato da 218 GWh nel 2023 a quasi 984 GWh nel 2024, con una crescita del 350%. In Taiwan, il consumo di elettricità da parte dell’industria AI è aumentato del 350,6% in un solo anno, raggiungendo l’equivalente del fabbisogno di 93.000 famiglie. In Corea del Sud, il consumo è raddoppiato, passando da 134,6 GWh nel 2023 a 315,2 GWh nel 2024. In Giappone, l’industria dei semiconduttori AI ha consumato 408 GWh nel 2024.

Le proiezioni future sono ancora più preoccupanti: entro il 2030, la domanda globale di elettricità per la produzione di chip AI potrebbe aumentare di 170 volte rispetto ai livelli del 2023, arrivando a oltre 37.000 GWh, più del consumo energetico dell’intera Irlanda.
Parallelamente, le emissioni di CO₂ equivalenti legate al consumo energetico della produzione di chip AI sono passate da 99.200 tonnellate nel 2023 a 453.600 tonnellate nel 2024. A Taiwan le emissioni sono cresciute da 41.200 a 185.700 tonnellate, in Corea del Sud da 58.000 a 135.900 tonnellate, mentre in Giappone hanno raggiunto 132.100 tonnellate.
Nonostante l’urgenza climatica, molti governi stanno rispondendo alla crescente domanda energetica dell’industria AI con nuove infrastrutture a gas naturale. In Corea del Sud è stata approvata la costruzione di una centrale LNG da 1,05 GW per SK hynix e ulteriori 3 GW per Samsung. A Taiwan, la Taipower ha giustificato l’espansione dei terminal LNG e la riconversione di impianti fossili in due nuove turbine a gas da 2,6 GW a Keelung, proprio per rispondere all’aumento della domanda da parte del settore semiconduttori.
Greenpeace denuncia che queste soluzioni rappresentano “falsi rimedi climatici” e chiede con urgenza che le aziende leader dell’AI — come NVIDIA, AMD, Microsoft e i loro fornitori — si impegnino concretamente per raggiungere il 100% di energia rinnovabile lungo tutta la supply chain entro il 2030. Tra le misure raccomandate figurano la stipula di contratti di acquisto energetico a lungo termine (PPA), investimenti diretti in impianti solari ed eolici, e la promozione attiva di una maggiore integrazione di fonti rinnovabili nelle reti elettriche locali.
“Raggiungere il 100% rinnovabile nella filiera AI è vitale per evitare un aumento massiccio delle emissioni e per proteggere la salute pubblica dai danni legati all’inquinamento atmosferico”, ha dichiarato Wu, portavoce di Greenpeace East Asia. “Le aziende hanno la responsabilità e la capacità economica per guidare una transizione vera verso un futuro sostenibile”.
Il rapporto “Chipping Point” rappresenta un forte campanello d’allarme per il settore tecnologico globale e per i decisori politici: senza un cambiamento immediato e sistemico, l’AI rischia di diventare un acceleratore della crisi climatica invece che uno strumento per affrontarla.