L’Italia torna a inventare. Nel 2016, le domande di brevetti sono state poco meno di 10mila, +7,5% rispetto al 2012. Un dato che conferma il trend di crescita degli ultimi quattro anni, pur rimanendo lontano dai numeri di dieci anni fa. Sebbene l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) descriva una situazione di ripresa, l’Italia rimane distanziata dai principali Paesi europei. Così come dai colossi dell’innovazione quali Cina (1 milione e 100mila depositi), Stati Uniti (589mila), Giappone (318mila) e Germania (67mila).
“In Italia quasi l’80% di brevetti, marchi e modelli sono depositati da aziende attive nelle regioni del Nord, mentre a Sud la tutela della proprietà intellettuale è poco praticata. Eccezione è il Lazio perché tante grandi aziende hanno una sede legale a Roma.” Lo ha affermato un recente studio GLP.
Innovazione italiana
La scarsa propensione alla tutela intellettuale non dipende da una bassa capacità inventiva. Dipende piuttosto dal fatto che l’industria italiana non ha una cultura adeguata. Del resto, la brevettazione è legata agli investimenti in Ricerca e Sviluppo e a un legame tra università e industria. L’Istat ha rilevato che nel 2014 la spesa per R&S di imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni no profit e università ha sfiorato i 22,3 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2013. L’incidenza sul PIL è pari all’1,38%, ancora lontana dai valori degli altri Paesi europei.
La questione culturale emerge anche dall’approccio che le aziende hanno verso la tutela della proprietà intellettuale. In Italia questa tutela si applica quasi solo a prodotti che garantiscono già una redditività. Mentre l’ICC (la Camera di Commercio Internazionale) ha confermato che un’invenzione brevettata ha un valore economico doppio rispetto a una non brevettata. Inoltre, secondo Epo ed Euipo, due enti europei che si occupano di P.I., in Europa il 42% dell’attività economica è generata da industrie ad elevata attività intellettuale.