Secondo Confindustria, una serie di fattori sta concretizzando, anche nei Paesi più dinamici, la temuta stagnazione secolare. Rallentamento e invecchiamento demografici, minori guadagni di produttività generati dalle attuali innovazioni. E poi dispersione di capitale umano a causa dell’alta disoccupazione, ridotto tasso di accumulazione del capitale. Ancora, rallentamento fisiologico della Cina, strisciante protezionismo.

La crescita mondiale di produzioni e commerci ne risente significativamente. Ante-crisi il PIL aumentava del 3,2% annuo e gli scambi di beni del 6,8%. Ora non vanno oltre il 2,4% il primo e l’1,8% i secondi. Questo significa che nessuno può far conto sul traino degli altri per uscire dal proprio stallo e che tutti devono impegnarsi, in modo coordinato, a realizzare nuove politiche per la crescita. Ciò vale in particolare per l’Eurozona. Nel contesto di accresciuta turbolenza globale l’economia italiana presenta una debolezza superiore alle attese. La risalita del PIL si è arrestata già nella scorsa primavera. Gli ultimi indicatori congiunturali non puntano a un suo rapido riavvio, piuttosto confermano il profilo piatto.

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Rimane lento il recupero dell’economia italiana

Il CSC di Confindustria stima una variazione del PIL italiano di +0,7% quest’anno e di +0,5% nel 2017 (vedi tabella 1). Il recupero nel biennio di previsione prosegue, dunque, perfino più lentamente che nel 2015, quando il PIL era aumentato dello 0,8% (dopo tre cali annuali consecutivi; -4,8% cumulato). La risalita del PIL è iniziata nel primo trimestre 2015 ed è proseguita fino al primo 2016, con un incremento dell’1,4% cumulato. Tale modesto progresso stride con la caduta del 9,7% che si era avuta rispetto all’inizio del 2008. Compreso il secondo trimestre 2016, è stato di appena lo 0,24% il ritmo medio trimestrale, con una evidente decelerazione.

Un incedere incerto e inferiore a quello delle altre principali economie europee (si veda il riquadro Nel PIL Italia peggio delle principali economie europee prima, durante e dopo la crisi). Il recupero si è addirittura arrestato nel secondo trimestre del 2016, quando la variazione del PIL rilevata dall’ISTAT è stata nulla, per effetto del calo degli investimenti e del rallentamento della spesa delle famiglie, mentre è stato positivo il contributo dell’interscambio con l’estero.